Editore: Stefano Giannuzzi
Direttore Responsabile: Fulvio Benelli
Primo Fondatore: Giuseppe Simonetta
Città e uomini
Un vecchio saggio dattiloscritto ritrovato in un’antica credenza viene qui riportato a nuova luce per illuminare l’essenza del Pantheon e di Roma, al fine di attualizzare antichi concetti e riproporli a beneficio delle future generazioni
1 maggio 2022
Mater Matuta
V secolo a.C, necropoli della Pedata, Chianciano Terme
Premetto che questa mia comunicazione, più che una conferenza, è una messa a fuoco e, nel contempo, una prima verifica di alcune considerazioni sul tema e di intuizioni in parte verificate e che da qualche tempo hanno assunto una qualche conformazione.
Quel poco che è stato acquisito non ha la pretesa di invadere alcun campo disciplinare, né sostituirsi.
Gli studi fin qui condotti hanno bisogno di ulteriore motivazione e del contributo di specialisti per una ipotesi di lavoro interdisciplinare.
È quasi impossibile non entrare in comunicazione con il Pantheon.
La reciprocità che si viene a instaurare con il monumento assume diverse connotazioni e valenze derivate, senza dubbio, dall’evidente emanazione sensibile della varietà del progetto architettonico.
Studiato già nell’attimo della sua conformazione dalle più brillanti menti che l’umanità poteva esprimere e, malgrado questo studio sia proseguito nel tempo, ancora non è stato fatto il tentativo di unificare in un corpus quanto di meglio è stato espresso.
Con rinnovato vigore scientifico, usando le tecnologie più avanzate, gli attuali atteggiamenti e conquiste culturali in materia di restauro dei monumenti e di storia dell’architettura potrebbero confrontarsi, riscoprendo quanto nel passato è stato individuato e, attraverso una cernita rigorosa, quanto è sfuggito alla nostra comprensione, facendo delle ipotesi teoriche che spesso la cultura ufficiale rifugge e sottoponendosi a una domanda per me importante: perché è stato realizzato il Pantheon.
La società romana antica, concreta e operativa come era, non avrebbe mai fatto un investimento colossale se questo non copriva la più vasta gamma possibile di interessi. Interessi che si potevano ugualmente raggiungere diversificandoli e concretizzandoli con molto meno dispendio di energie.
Ad esempio, si poteva misurare il tempo quotidiano con una meridiana, si poteva misurare il corso annuale del sole con uno gnomone, magari un obelisco, si poteva rispondere a un certo tipo di religiosità costruendo un tempio molto semplice ad hoc, oppure si poteva soddisfare determinate operazioni rituali istituendo dei collegi sacerdotali a cui affidare un boschetto sacro magari vicino a un lago o a uno stagno.
E allora perché il Pantheon?
Posso azzardare delle ipotesi: è un luogo della memoria collettiva. È un tentativo, platonicamente inteso, di riproporre ed eventualmente riprodurre, in opportuna scala, il processo creativo. È, provocatoriamente, il più inutile dei monumenti, apparentemente perfetto per tecnica, proporzione e forma perché legato all’invenzione umana che interpreta e spesso scombina le leggi che la natura continuamente produce.
A questo punto farò una breva illustrazione degli elementi fisici che hanno influenzato, per quanto di competenza, la formazione di Roma.
Questi elementi sono i tre grandi crinali di terra che comunemente vengono denominati: crinale etrusco, che interessa il sistema territoriale settentrionale; crinale sabino per il sistemo territoriale orientale; crinale latino per quello meridionale.
Una breve parentesi.
Per crinale si intende il percorso transitabile a piedi che da un determinato punto arriva a un altro, di lunga percorrenza, senza interruzioni e soprattutto senza attraversamenti di corsi d’acqua.
A queste tre grandi vie se ne aggiunge una quarta: la via d’acqua costituita dal Tevere. Questa via interessa il sistema territoriale occidentale. A tal proposito, occorre ricordare la leggenda di Enea che dall’Oriente, tramite il Tevere, riporta in patria il fuoco sacro e i Penati.
Questa quadripartizione dello spazio fisico trova il suo punto di incontro nei pressi di Monte Antenne che diventa un luogo sovranazionale, ma non ha in sé la forza aggregante per divenire città. La configurazione naturale sarà dunque la matrice di tutto il sistema viario romano che si determinerà nel tempo. Il sistema sarà costituito da dodici più quattro, quindi sedici strade, quasi a riproporre su larga scala la divisione in sedicesimi delle regioni celesti concretizzate a terra, alla maniera degli etruschi.
Ricordo che nell’arte divinatoria, per gli etruschi il fegato era diviso in sedici regioni.
Perché il fegato?
Nell’antichità la tripartizione fisica dell’uomo era cervello, cuore e fegato e quest’ultimo era considerato la sede principale delle concretizzazioni fisiche, quasi un registratore di tutti gli avvenimenti. Nei riti di sepoltura questi tre elementi venivano staccati dal corpo e seppelliti in altri luoghi.
Dal crinale etrusco, seguendo il corso del Tevere, si incontra l’isola tiberina, mentre il diverticolo più importante del crinale sabino si attesta sul Quirinale, e infine il diverticolo più importante del crinale latino si attesa sull’Aventino.
Il palatino, e la sua stessa radice pal o fal che significa luogo elevato o altura, sarà il luogo di convergenza reale sul quale si fonda la primitiva città quadrata. Le recenti riscoperte archeologiche confermano l’antichità dell’insediamento sul Palatino.
La successiva cinta muraria, le cosiddette mura serviane, caratterizza l’età regia, nonché la repubblicana fino all’età imperiale.
La particolare forma allungata, quasi a delineare i contorni di un ictis, nonché l’orientamento secondo l’asse terrestre, costituiscono un mistero, ovvero una conoscenza tutta da acquisire.
La terza e necessaria cinta muraria, che non nasce per scopi difensivi, è costituita dalle mura aureliane che a mio avviso formano una vera e propria cosmogonia ordinata a terra. Tramite questa si possono individuare, in quanto è la più manifesta, le valenze ordinatrici e scambiatrici del disegno di Roma.
Una quarta valenza urbana, esclusa dai tre ordini ma intesa come proiezione di essi, è costituita dai capisaldi del Tempio di Giove Laziale a Monte Cavo, dal Tempio di Giove Sorano sul monte Soratte, dal Tempio della Fortuna Primigenia a Palestina e dal tempio di Astarte a Pyrgi.
Questi possono essere considerati come i termini della città metropolitana. La città è dunque un hortus conclusus: la matrice all’interno della quale realizzare la formazione, la nascita e lo sviluppo dell’essere umano. Fuori vivono le belve feroci e gli dèi. Pur tuttavia all’interno della città bisogna individuare i luoghi deputati che costituiscono il ricettacolo e la manifestazione della divinità, e dove gli uomini possono stabilire o rinnovare i patti di reciprocità con il mondo celeste.
Uno di questi luoghi è proprio quello su cui sorgerà, nel tempo giusto, il Pantheon. Questo luogo era l’antica Palus Caprae. Anticamente per capra si intendeva la chimera con la testa di leone, il corpo di capra, la coda di serpente e ciascuna delle tre parti rappresentava una stagione dell’anno sacro diviso in tre parti dalla regina del cielo.
Anticamente l’umanità non aveva dèi, solo la grande dea era immortale, immutabile, onnipotente e il sole e la luna erano solo suoi simboli celesti.
Ecco perché, con molta probabilità, il Pantheon era dedicato alla Magna Mater. Apparentemente dedicato a tutti gli déi, ovvero alle sette potenze maggiori, in realtà era dedicato alla natura nel suo divenire, al dio tutto.
Dal luogo della Palus Caprae, il mitico fondatore di Roma, Romolo -divenuto eroe- viene assunto dal padre Marte in cielo, così narra la leggenda.
Originariamente su questo luogo viene elevato un tumulo e su questo verrà innalzato un tempio fatto costruire da Marco Agrippa tra il 25-27 a.C. Il tempio aveva probabilmente l’ingresso posto a sud. Nei mausolei, ci si riferisca mentalmente -ad esempio- al mausoleo di Augusto, l’ingresso viene posto a sud, secondo la antica usanza di chiara derivazione etrusca; la tomba del morto viene illuminata dal sole di mezzogiorno.
Un esempio, diciamo più vicino a noi, è costituito dalla chiesa di S. Agostino che ha la facciata esposta a sud rivestita di materiale lapideo bianco, fatta costruire dal cardinale D’Estouteville che, a mio avviso, la costruisce come tomba personale. Traguardando il raggio di sole a mezzogiorno sul pavimento si potrebbe ipotizzare che lì era la tomba del cardinale; su questa linea, sul pilone centrale è sistemato l’affresco di Raffaello e la scultura di Andrea Sansovino. Il cardinale, riproponendo l’antica usanza della sepoltura, per esecuzione testamentaria, fa seppellire il proprio cuore a Rouen. L’imperatore Adriano scompone la primitiva costruzione e costruisce il tempio nel 120 d.C.
Ora un breve excursus di notizie storiche.
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Gli imperatori Settimio Severo e Caracalla si interessano ad alcuni rifacimenti del Pantheon.
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Nel 608 d.C. l’imperatore Focas lo dona a Papa Bonifacio IV che l’anno dopo lo dedica a S. Maria ad Martires, con questa operazione probabilmente lo salva dalla distruzione.
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Nel 655 l’imperatore fa togliere le lamine di bronzo dorato dalla cupola.
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Nell’VIII secolo Gregorio III fa ricoprire la cupola con lamine di piombo che servono a proteggere la costruzione da sicura rovina ma cambia totalmente l’impatto qualitativo e percettivo, vista la differenza di potenziale tra i due metalli.
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Eugenio IV nel 1434 isola in parte il Pantheon da case e torri.
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Urbano VIII demolisce il tetto del pronao togliendo tutte le travature bronzee e le ricostruisce in legno, fa abbassare il piano antistante della piazza.
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Benedetto XIV nel XVIII secolo rifà la decorazione dell’attico.
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Altri interventi al tempo di Pio IX.
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Nel 1929-34 la Soprintendenza ai monumenti tramite Alberto Terenzio opera un restauro complessivo.
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Fino ad arrivare ai giorni nostri il Pantheon è sempre sotto osservazione e ultimamente si stanno conducendo alcuni lavori di restauro ad opera dell’attuale Soprintendente arch. Gianfranco Ruggieri.
Una piccola curiosità: un tempo al Pantheon si facevano due spettacoli, uno dei quali il giorno dell’Assunta quando si faceva sparire l’immagine della Madonna dal foro. Nella domenica detta della rosa tra l’Assunzione e Pentecoste, durante la messa, si faceva piovere dall’alto un’enorme quantità di rose
per preannunciare il miracolo della Pentecoste.
Ritornando all’impianto voluto da Adriano, concettualmente il Pantheon va visto in tre tempi: la piazza porticata quasi assimilabile al paradisum, il pronao che è un tempio esso stesso e finalmente la parte sferica. Innanzitutto, l’ingresso viene determinato a nord, ovvero come anticamente veniva chiamato questo passaggio: la porta degli uomini, mentre come contraltare la porta sud veniva chiamata la porta degli dèi.
Il riferimento del motivo a sedici si individua nel colonnato del pronao. Otto colonne di color grigioverde e altre otto in duplice fila di color rosato. La gamma del colore verde e la gamma del colore rosso sono complementari. Come complementari sono Venere e Marte, la materia e lo spirito nella considerazione metafisica. Le otto colonne individuano sette assi smaterializzati, di cui uno solo è perfettamente allineato con l’ingresso. Si preannuncia così la legge costitutiva del Pantheon basata sul sistema ottonario e settenario. Settenario in alto, ottonario in basso, entrando nella sala grande si è completamente avvolti dal mito della caverna cosmica. I due ingressi della caverna sono posti uno sull’orizzontale e l’altro sulla verticale, al centro doveva essere sistemata una fonte. L’insieme è diviso in due parti: la cupola emisferica a sua volta suddivisa in 28 spicchi, cioè a dire sette per quattro che ricordano il ciclo lunare disposto su cinque ordini. Secondo gli autori latini antichi, sotto il cielo le leggi universali sono in numero di cinque e sono stati manifestati un tempo dai cinque ordini dell’architettura.
La seconda parte è a sua volta divisa in due parti tra loro proporzionate. Il tutto, quindi, è scandito da tre funzioni. Il sistema a terra dove sono collocate le sette nicchie a loro volta tripartite: si raggiunge così il numero di 21 più l’ingresso, dunque 22 assimilabili alle lettere dell’alfabeto ebraico. Il collegamento tra di loro è possibile ipotizzarlo a forma di stella. Se nella composizione prendiamo in considerazione l’ingresso, il sistema diventa ottonario. Ottonario che, anticamente, era considerato la manifestazione terrestre determinata dal doppio quaternario, cioè a dire i quattro elementi terra, acqua, aria, fuoco assimilabili ai quattro punti cardinali e le loro qualità, caldo, secco, freddo, umido. Questa alternanza tra il sistema a sette e il sistema a otto si ripete aggiungendo le otto edicole che compongono la scanditura in quindicesimi o in sedicesimi. Sedici era la divisione dei venti di vitruviana memoria, come sedici era la divisione del cielo secondo gli etruschi. I due sistemi si possono considerare uno in potenza e l’altro in atto, riguardo le considerazioni sulla ogdoade dove la divina Sofia cade dal sistema per andare alla ricerca del padre e, trovatolo, ricompone l’insieme.
L’attico, considerato l’elemento di mediazione tra il cielo e la terra, era scandito, prima dell’intervento di Benedetto XIV in 64 specchiature, ricorda la moltiplicazione del sistema ottonario. 64 sono le generazioni prima della manifestazione del Cristo secondo l’antica ipotesi cristiana, come 64 sono le caselle del gioco degli scacchi, considerato un tempo il gioco della vita per la conquista dell’anima.
I solstizi e gli equinozi spesso non erano determinati con precisione e li si faceva coincidere cona la luna piena più vicina. Riconoscendo nel sole il grande regolatore, nel suo corso annuale questo viene usato come ricordo del crescere e del decrescere della forza lunare collegata ai mutamenti stagionali che regnano sulla vita vegetativa e animale. Il re moriva quando la forza del sole, con il quale il re si identificava, declinava a mezza estate, e un suo gemello o supposto tale prendeva il suo posto per essere sacrificato a metà inverno, reincarnandosi come premio in un serpente oracolare. Il numero 7 gli veniva dato perché il re moriva durante la settima luna piena che segnava il giorno più corto. Spesso per allungare la vita del re sacrificale si istituì il grande anno composto di cento lunazioni, o ancora il grandissimo anno composto di 235 lunazioni. Quanto al re, per evitare il sacrificio, si introduceva in un’urna di bronzo.
Tornando al Pantheon, possiamo dire quindi che esso regola le determinazioni della luna piena. Dallo schema si può evincere lo spostamento del raggio del sole durante i solstizi e gli equinozi. La linea degli equinozi rimane la suddivisione mediana della sfera, mentre le linee dei solstizi sono determinate in alto e in basso. Tra il sistema solare e il sistema lunare c’era una sfasatura di dieci gradi all’anno, per cui ogni tre anni veniva intercalato un mese di 30 giorno, detto “mercidino”. Le due colonne dell’abside posto a sud traguardate con il centro formano proprio un arco di 30 gradi.
Essendo la porta solstiziale invernale all’interno di questa avveniva l’unione di due sistemi. La zona posta a sud rimane sempre in ombra. Ombra più o meno ampia secondo il corso del sole.
Due ultime considerazioni.
Nello schema è stato individuato quello che nell’antichità veniva definito il quadrilungo.
Facendo le debite proiezioni si ottiene che il portico è stato ideato come un unicum con la sfera. Mentre all’interno dove si manifesta il quadrilungo questo individua la divisione senaria del cerchio, traguardata dall’ultima parte liscia della calotta e forse individuata da Raffaello in un suo disegno volutamente diviso in sei parti.
L’altro schema è la costruzione dello gnomone e il Pantheon in sé stesso è un grande gnomone cavo.
Rapportando l’area del portico con l’area della circonferenza viene alla luce la divina proporzione del rapporto 1:2, come la stessa divina proporzione è individuata nel tetracordo di Filolao, dove il rapporto tra la prima e l’ultima corda è di 1: ½.
È in questo sistema che si forma l’armonia tradotta dalle sette noti musicali e dalla formazione dell’ottava superiore.
Un articolo di Giuseppe Simonetta