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Pubblichiamo un estratto selezionato dall’autore tratto dal libro “Esoterikà – La cerca della Luce: Astrologia, Qabalah, Magia-Teurgia, Alchimia” di Francesco Indraccolo, Atanòr Editrice, Roma… Honi soit qui mal y pense…

Dalla Magia alla Teurgia

6 gennaio 2021 

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Affresco della sala dell’Asino d’Oro della Rocca dei Rossi

(San Secondo Parmense)

C’è un sapere segreto che sciamani e maghi devono acquisire prima di tentare di produrre qualche “fenomeno”, ma c’è anche un armamentario di “arnesi” che devono fabbricarsi da soli. Poi, nella storia della Magia, c’è un “salto” misterioso fino all’arte di “creare gli dèi”.

 

La magia è fiorita assieme alla civiltà umana come tecnica (dal greco tekné=arte) che si prefigge, con molta presunzione, di dominare gli accadimenti della vita di ogni giorno, i fenomeni fisici e gli altri esseri umani. La volontà è l’arma principale di sciamani, maghi e stregoni. Tant’è vero che il primo dei “4 precetti magici”, accettati dalla maggioranza delle conventicole di questo tipo è il “Volere”. Gli altri tre sono il “Potere”, l’“Osare” e il “Tacere”.

Ma gli strumenti del mago spaziano da un sapere “riservato a pochi”, come l’astrologia per decidere i tempi “giusti” di ogni pratica, le cosiddette “parole di potenza” per comandare ad angeli, demoni ed energie naturali o soprannaturali, nonché le conoscenze botaniche per preparare farmaci, sonniferi e veleni.

Oltre a questo know-how immateriale, gli adepti della Magia cerimoniale si servono di oggetti rituali, specifici per ogni operazione: il bastone, per tracciare i cerchi magici; la bacchetta, cioè la “verga” di nocciolo o altro legno duro per impartire i loro “comandi”; o la bacchetta a forma di Y rovesciata (rabdos, in greco, da cui deriva la parola “rabdomante”) per cercare l’acqua o un oggetto smarrito, oppure il lituo, simile al pastorale dei vescovi, usato dai sacerdoti etruschi e romani per offrire sacrifici agli dèi e impetrarne favori.

Tralascio volutamente di citare le candele (dette “stelle”), a volte di vario colore[1], i carboncini mescolati a polvere di zolfo per favorirne l’accensione, i bruciaprofumi in terracotta e in bronzo, gli incensi e le altre paccottiglie in vendita presso tutti i bazar dell’occulto, anche on-line. La “palla di cristallo”, anche se prodotta dalla griffe di prestigiosi stilisti, non rientra fra questi strumenti. A un mago ben addestrato basta, infatti, una comune bacinella d’acqua.

Ma qualcos’altro, anche se materiale e - a volte - di materiale prezioso come l’oro, aveva e ha, ancor oggi, bisogno di un sapere molto riservato. Parlo dell’abilità tecnica di progettare e fabbricare amuleti e talismani, in quanto quelli acquistati già “prêt-à-porter” valgono ben poco, se non dopo lunghi e complicati rituali di “legamento” a una data persona. Ma procediamo con ordine.

L’amuleto (dal latino a-molior=allontanare) è un artefatto preparato da un operatore di Magia, meglio vero che presunto, per tenere lontani i malanni o le disgrazie da una data persona, almeno così indicano le credenze superstiziose. L’amuleto può essere inciso su gemme o su metalli preziosi con simboli anche molto semplici (p.es.: la Croce, o l’Ankh egizio, o l’occhio di Horus, ecc.), che si riallacciano alla divinità, o con nomi angelici o brevi frasi (tipo: Vade retro Satana), oppure con simboli di pianeti e segni dello Zodiaco.

Il talismano (dal persiano telsaman= figura magica) è un oggetto disegnato o inciso con figure simboliche su pergamene o su metalli semplici (rame, bronzo, piombo ecc.) in modo tale da servire – almeno così si crede – a scacciare gli spiriti negativi o i mali e le disgrazie della vita dal soggetto che lo porta addosso. Il talismano può anche essere inciso su metalli preziosi e ornati di gemme; in questi casi si confonde con un oggetto affine: l’amuleto. Ma il talismano ha bisogno di una preparazione e/o consacrazione lunga e complessa, nonché della “dedica” (cioè del “legamento”) a una determinata persona.  Un'altra etimologia fa derivare la parola talismano dal greco telesma = completo, nome dato alle statue delle divinità pagane consacrate con cerimonie. Le culture antiche del bacino del Mediterraneo fino al vicino e medio Oriente erano intrise di pratiche magiche e credenze occulte mescolate alla religiosità, liquidata forse troppo frettolosamente come “pagana” dagli esegeti cristiani. Questa, invece, rappresentava la religione tradizionale – sia pure in forme diverse - per il mondo greco-romano, come per quello egizio o mesopotamico. Perfino il tanto vituperato “politeismo” aveva molte divinità “di facciata” per soddisfare genti e credi diversi, che si trovavano a convivere nelle stesse aree geografiche per i motivi più vari.

 

Ma analizzando il culto solare del dio Ra egizio, antico di 4.500 anni, viene il dubbio che i suoi numerosi nomi e attributi fossero degli autentici dèi di pari importanza rispetto a lui. E anche il tentativo del faraone Akhenaton (1351-1334 a.C.), di sopprimere Ra per sostiturgli il dio Aton, che in precedenza era solo un aspetto di Ra, avalla e rafforza il dubbio. La molteplicità delle divinità antiche, forse, serviva soltanto per il volgo (un po’ come i santi di oggi). Mentre i Sommi Sacerdoti avevano una visione diversa delle forze naturali e soprannaturali che loro sapevano quando e come si fossero gradualmente trasformate in dèi.

Ora è il momento di domandarci se il paganesimo sia davvero finito di colpo, dopo l’avvento del Cristianesimo, trionfante dall’Editto di Costantino del 313 e dopo l’apocrifa “Donazione” dello stesso Imperatore a Papa Silvestro[2], o se qualcosa dell’antica Sapienza misterica di ogni luogo sacro continui ad avere un aspetto rilevante anche nella nostra cultura.

Sul finire delle festività natalizie, all’Epifania, si torna a parlare dei “Re Magi” (Màgoi, in greco) che portavano tre doni simbolici al bambino Gesù (Matteo 2, 1-12), da essi ritenuto il “Re dei Giudei”. Quando lo trovarono, seguendo la stella (astéra) che aveva loro annunciato quella nascita così prodigiosa, questi sapienti o maghi d’Oriente, forse sacerdoti zoroastriani della Persia, si prostrarono, lo adorarono e gli porsero i loro scrigni contenenti oro, incenso e mirra. Poi se ne tornarono al loro paese, senza passare da Gerusalemme, perché un sogno li aveva avvertiti che Erode cercava il bambino per ucciderlo.

Tutti i Paesi dell’Occidente cristiano, ogni anno, si beano di questa sacra narrazione, un po’ fiabesca, senza curarsi dell’aura negativa che negli ultimi venti secoli è stata proiettata dai loro più influenti pensatori (Origene, Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino, tanto per citarne alcuni) sui maghi e sulla Magia, spesso accomunata a uno dei più gravi peccati: quello dell’idolatria.

Perfino Dante, che di esoterismo ne sapeva abbastanza grazie alla sua appartenenza ai Fedeli d’Amore, condanna i maghi assieme agli indovini e agli impostori dell’arte divinatoria, collocandoli nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (Canto XX), dove sono condannati a camminare all’indietro “perché ‘l veder dinanzi era lor tolto” (v. 15), evidenziando così la “legge del contrappasso” verso chi aveva preteso di “vedere” il futuro.

Non è da ritenere, tuttavia, che i maghi se la passassero un po’ meglio prima del Cristianesimo, anzi: Apuleio di Madaura, l’autore del più famoso romanzo in latino “L’Asino d’Oro” giunto integro fino a noi, rischiò la pena di morte nel corso di un processo intentatogli dai parenti della moglie Emilia Pudentilla, che lo accusarono di aver sedotto e plagiato la donna con arti magiche[3]

Ora è il momento di entrare nel vivo del tema della Magia e della Teurgia, dopo aver chiarito i termini del “sacro” e del “soprannaturale” e aver appena accennato alle tecniche sciamaniche e ad alcuni particolari della magia cerimoniale.

“La magia – diceva il Maestro Ivan Mosca[4] – è un mezzo (il mezzo) di disporre delle energie esistenti nell’ordine universale… La conoscenza delle leggi che regolano una qualunque forma di energia è assolutamente indispensabile per trasformare tutta la forza in operazione”.

Dopo quest’accenno, è utile ricordare che la Teurgia, definita velleitariamente “Arte di creare gli dèi” date le limitazioni umane, forse è solo “l’Arte di chiedere agli dèi di fare determinate cose”. Quest’arte misteriosa ha radici caldaiche ed egizie, ma è giunta fino a noi grazie a grandi filosofi neoplatonici come Plotino e Porfirio[5], vissuti fra il III e il IV secolo d. C.

In queste escursioni nella storia del pensiero umano, senza trascurare la metafisica, non siamo mai stati indulgenti con superstizioni o con pratiche stregonesche, e quindi infraumane. Abbiamo scelto “virtute e canoscenza[6]”, fedeli agli ideali massonici. Abbiamo così scoperto che i famosi “poteri”, tanto ambìti dai ciarlatani, sono legati alla ricerca spirituale mai disgiunta dall’umiltà. I poteri spirituali non erano e non sono alla portata di tutti, soprattutto di individui senza scrupoli.

 

Possiamo fin d’ora trovare un simbolo che ci ricongiunga alle ricerche dell’anno scorso sulla Catena d’Unione, che può essere fraterna od operativa. Questo simbolo è il cerchio o la circonferenza e tutti abbiamo sentito parlare del “cerchio magico”. Con questo semplice tracciato, che si può fare con un bastone, con una cordicella e un piolo fissato a terra, con una spada, con una “bacchetta magica”, o con il pollice, l’operatore delimita uno spazio in cui le energie possano manifestarsi, senza debordare prive di controllo, e si ripara dalla potenza, immane di forze soprannaturali.

 

Il cerchio unisce lo sciamano, il mago e il teurgo. Tutti conosciamo la pubblicità di una banca in cui si vede un uomo che, con un’asta, traccia a terra un “cerchio di difesa[7]. Ma la circonferenza è utile anche a delimitare un luogo atto a meditare, a erigervi un altare, a invocare energie.

 

Nell’India di quasi 4.000 anni fa, i libri “veda” (termine che significa “conoscenza”) tramandavano le tecniche e i complicati rituali, compresa la costruzione di più cerchi magici, adatti a far tornare gli dèi al banchetto degli uomini[8] dove ricevevano in offerta la bevanda inebriante “soma”. Al culmine di questa cerimonia, il più alto sacerdote brahmano, divenuto “rsi” cioè “veggente”, riusciva a scorgere le forme invisibili degli dèi.

 

In molti libri di occultismo ci sono figure di cerchi magici, con vari cerchi concentrici e con scritte in lingue sconosciute, che alcuni ingenui ritengono di per sé stesse “magiche”, mentre invece sono soltanto sigle o pro-memoria dei nomi delle energie con cui si vuole entrare in contatto.

 

 

[1] Soprattutto rosso, per le “fatture” d’amore, nero per le evocazioni di spiriti dei defunti, bianco per le cerimonie della cosiddetta “Magia bianca”, anche se l’antica sapienza magica non ha quasi bisogno di nulla, come ricorda il motto “Omnia mecum porto” (tutte le mie cose le porto con me), attribuito da Cicerone (Paradoxa 1, 8) a Biante di Priene, uno dei Sette Savi vissuto nel VI secolo a.C.

[2] La presunta “donazione”, datata 30 marzo 315, concedeva il primato del vescovo di Roma sulle chiese patriarcali orientali; la sovranità del Pontefice su tutti i sacerdoti; la sovranità della basilica del Laterano su tutte le chiese; la superiorità del potere papale su quello imperiale. Il filologo Lorenzo Valla dimostrò nel 1440 che il documento era falso

[3] Lo ha raccontato lo stesso Apuleio, scrittore, retore e filosofo nord-africano del II secolo d.C. nella sua “apologia” di difesa, Pro se – De Magia, pubblicata dopo la vittoria nel processo davanti al proconsole romano Claudio Massimo, celebrato vicino a Tripoli fra il 158 e il 159 d.C. La pena di morte era prevista dalla Lex Cornelia de sicariis et veneficis (Legge Cornelia sui sicari e gli avvelenatori), emanata dal dittatore romano Silla nell’81 a.C.  

[4] V. il capitolo “Magia e Teurgia” del libro “Ivan Mosca: l’Uomo, l’Artista, l’Iniziato” che gli è stato dedicato dall’Associazione “Les Amis d’Ivan Mosca”, che ha sede a Nizza (Francia) ed è stato ripubblicato in seconda edizione ampliata da Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni (MI) nel 2015. Ivan Mosca (1915-2005), pittore di fama internazionale, è stato Gran Maestro del G.O.I. e 33° grado del RSAA. 

[5] Plotino, nato a Licopoli (Egitto) nel 203-6, fondò a Roma una scuola neoplatonica verso il 246 e scrisse diversi saggi, poi raccolti e ordinati nelle “Enneadi” (6 gruppi di 9 trattati) dal suo discepolo e biografo Porfirio. Plotino morì a Minturno (Latina) nel 270. I suoi più noti concetti, studiati per secoli, sono stati l’”Uno” indivisibile emanatore di tutta la realtà, e l’“Anima Mundi”, da cui è nata ogni forma di vita. Porfirio, nato a Tiro (Siria) nel 233-4, studiò ad Atene e poi a Roma, dove fu allievo di Plotino. Porfirio scrisse diversi commenti filosofici, oltre a una Vita di Plotino e una Vita di Pitagora. Morì a Roma nel 305. Va detto che, se per Egizi e Caldei, la Teurgia era una serie di tecniche e di trucchi per “far parlare” le statue degli dèi e ricavarne previsioni “oracolari”, per Plotino e Porfirio era un mezzo di ascesi spirituale per ottenere un contatto con energie soprannaturali.

 

[6] V. le parole di Ulisse nel canto XXVI (versi 112-120), dell’“Inferno” dantesco, nel girone dei “cattivi consiglieri”. La “morale” attribuita a Dante è che l’ansia di conoscenza, slegata dalla virtù, può portare alla perdizione.

 

[7] La “Scuola Terapeutica Magica di Myriam”, fondata verso il 1910 dall’esoterista napoletano Giuliano Kremmerz (al secolo: Ciro Formisano) e attiva fino ad oggi, suggeriva ai propri adepti di tracciare un cerchio di difesa per evitare aggressioni di cani o altre bestie inferocite.

 

[8] V. “L’Ardore” di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 2010.

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